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La trilogia della rabbia

Edit: 06/11/2023: nota importante in fondo. Lascio comunque quanto scritto perchè non mi piace nascondermi. Il bello di cambiare idea.

Lo avevo detto che avrei letto più Bianciardi.
Lo avevo detto dopo la lettura del buon “Non leggete i libri, fateveli raccontare”.
Con i miei tempi, detto, fatto.

Insomma se uno è costretto per nascita e malasorte a lavorare, meglio che lavori di continuo finché non muore, e se ne stia fermo sul posto di lavoro.

È stato più trovare l’abbrivio (la mia lettura ultimamente va a strappi), perché i testi scorrono via benone, sia come contenuti che come stile, fino a un certo punto…
Ho recuperato “La trilogia della rabbia”, una collezione che raccoglie i suoi tre romanzi a tema contemporaneo. Altra produzione ha poi avuto tema storico.

Proverò a riscrivere tutta la vita non dico lo stesso libro, ma la stessa pagina, scavando come un tarlo scava una zampa di tavolino.

I primi due testi ("Il lavoro culturale" e “L’integrazione”) sono molto consequenziali e autobiografici, scritti con una nota sarcastica piacevole, la critica al boom c’è ma è raccontata in maniera ironica. Entrambi sono molto moderni ancora oggi, quindi posso immaginare cosa potessero essere per l’epoca.

Persino a qualche pisano io ho aperto l’uscio di casa – che è per proverbio azzardo pericoloso;

L’integrazione in particolare è un bello spaccato di azienda degli anni ‘60 (il “lavoro grosso” è la nascita di Feltrinelli, la casa editrice) che mostra come certe dinamiche prescindono da strumenti ed epoche e sono intrinseche al concetto stesso di lavoro subordinato.

Ai ceti medi si deve dare la sensazione che a dimostrare è gente come loro, e che la polizia picchia anche gente come loro.”

Sono insomma sulla linea di quel “Non leggete i libri ma fateveli raccontare” che mi era piaciuto per tono e contenuto.

Con queste premesse l’intasatrice aziendale può arrivare dove vuole. Basta che marchi a zona, che non molli il telefono, i francobolli e la scrivania. Ho visto segretarie rischiare di sgravarsi in ufficio, allo scoccare del nono mese, solo perché non volevano mollare il marcamento, divellersi dalla scrivania, staccare la zampetta dal ricevitore.

La vita agra no. La vita agra è per larga parte un piagnisteo illeggibile, di uno che si è voluto fare due famiglie e per mantenerle deve lavorare.
E la questione “sta solo raccontando una storia” regge poco. È autobiografia pura. Riprende elementi della trama dei libri precedenti, li allarga e li riordina.
Parte con lo spunto dell’incidente alla miniera e della voglia di vendetta verso il torracchione di Montedison, ma finisce in una lamentela di un uomo inane.

Nei nostri mestieri è diverso, non ci sono metri di valutazione quantitativa. Come si misura la bravura di un prete, di un pubblicitario, di un PRM? Costoro né producono dal nulla, né trasformano. Non sono né primari né secondari. Terziari sono e anzi oserei dire, se il marito della Billa non si oppone, addirittura quartari. Non sono strumenti di produzione, e nemmeno cinghie di trasmissione. Sono lubrificante, al massimo, sono vaselina pura.

Caro mio, tieniti il cazzo nelle mutande e non andare in giro a fare semenze e vedrai che la vita costa meno. Bello poter vivere senza lavorare, bello stare a letto tutto il giorno, ma non è compatibile con i tuoi cafferini, le tue cene in latteria, etc. O uno o l’altro (o un equilibrio tra i due, come tutti).
E quindi, andatomi in odio il protagonista (o narratore? o autore? o tutti e tre?), mi è andato in odio il testo.

In queste cose uno o ci crede o non ci crede. Se ci crede deve consacrarcisi con tutte le sue energie, e lasciar perdere il resto; se poi non ci crede, lo dica subito e se ne vada.

Bianciardi comunque sa scrivere, e bene, ma a parte alcuni passaggi in cui si rispolvera lo stile e il piglio dei testi precedenti, il libro scorre piatto e si spera di arrivare il più presto possibile alla fine. L’atteggiamento del protagonista è fastidiosissimo, siamo dalle parti di “Una banda di idioti” (che lessi quasi vent’anni fa e per cui ancora conservo livore, sebbene almeno lì il personaggio fosse costruito ad arte). Anche la dinamica con Anna è ridotta a una macchietta, è piattissima, c’è quasi una oggettivizzazione (la coinvolge quasi solo per fare l’amore, per il resto è quasi una domestica o una segretaria).

E come succede in tempo di guerre e di rivoluzioni, tutti e due avevamo ansia di sapere e di fare tutto in fretta, quasi che fra un mese, una settimana, domani, non ci fosse più tempo.

La vita agra mi ha deluso, e non sento il bisogno di leggere altro Bianciardi, per ora.
Gli altri due testi sono gradevoli.

Edit 06/11/2023 Non ho capito un cazzo. Mi sono fatto travisare dalla biografia dell’autore, senza capire che tutto quanto ho sentito è desiderato e voluto da lui stesso. Non è autobiografia; è racconto. Il piattume, l’antipatia, l’oggettivizzazione, tutto è assolutamente cercato. L’emozione che il libro vuole suscitare non è la comprensione, o il compiacimento nell’eroe. È il fastidio verso il protagonista. E ci riesce, oh come ci riesce. Devo ricordarmi di non incrociare mai la valutazione tra autore e opera. Come in Ghostbusters, son due flussi che non si devono incrociare. Onore a Lei, Bianciardi, che me lo ha fatto ricordare.