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Ulysses

Premessa

Sarà un post lungo, probabilmente il più lungo della più che quindicennale storia del blog. C’è un coacervo di fatti e simboli, intorno al momento in cui Molly ha preso sonno, e io ci ho aggiunto del mio.

Io e il libro

Ho iniziato a incuriosirmi all’Ulisse nella seconda metà degli anni ‘90, primi anni del liceo? Può essere.

Nella mia fame di libri, in cui leggevo tutto quello che mi capitava a tiro, iniziavo a sentire parlare di questo libro. Lo presi in biblioteca, ne leggiucchiai qualche pagina, lo restituii. Era troppo. Era un puzzle da 10.000 pezzi.

Ci rincontrammo ovviamente all’ultimo anno del liceo, in letteratura inglese.

Ne lessi dei passi, stavolta mi piacque, su quei passi ci costruii un pezzo della tesina (presentata con un ipertesto. Nel 1999, mica cotiche. Ma ero stato al Cern in gita; sarà stato lo spirito di Tim Berners Lee). Nelle mie frequentazioni milanesi all’università ne trovai l’edizione di Mondadori con la guida alla lettura nella collana degli Oscar, con la costa rossa. La trovai per pochi euro, erano appena arrivati gli euro, nella libreria di via Dante, che Google mi dice chiamarsi Librerie Riunite e che ha chiuso, nel 2014. L’edizione con la costa rossa sta invece ora a casa dei miei.

Lo iniziai, probabilmente più di una volta. Con e senza guida alla lettura. Ma rimase lì. Introibo ad altare Dei1 ma non riuscivo mai a passare i primi 5-6 capitoli.

Poi sopì. Lessi, sempre di Joyce, Gente di Dublino, ma quello è facile, son racconti.

Quando comprai il Kindle, scoprii che c’erano dei libri anche oltre il mondo di Amazon. Cose tipo Project Gutenberg, con ottime edizioni di classici oramai in pubblico dominio. E mi scaricai la versione in Inglese dell’Ulisse2. la lessi subito? No ovviamente, la iniziai, arrivai al 4-5 capitolo, benedissi comunque il dizionario integrato del Kindle e la misi lì.

Ma a spizzichi e bocconi, tornava; da una citazione, da qualcuno che lo citava come seminale. I felt the need to scratch the itch.

Più o meno un anno fa, l’ho reiniziato. E stavolta ce l’ho fatta. L’ho finito.

Ecco, ci è voluto un anno.

Il libro e me

Non è un libro facile; è un esercizio di pazienza, non si legge per ore, non si divora. Ci si muove faticosamente in un labirinto di rimandi, di suoni; ogni pagina, ogni periodo è una battaglia.

I primi capitoli sono il tutorial, Stephen è la Navi del romanzo, vi fregherà, come quei primi 10 minuti quando si comincia a correre, “ah ma è così facile, non si suda nemmeno”.

Dal risveglio di Leopold si fa sul serio, ma è come il fitness: quel dolore e quella sofferenza sono l’anticamera del piacere. Quella soddisfazione di sentire l’acido lattico nel cervello, nel dire: “sono arrivato in fondo anche a questa pagina”. E ricominciare.

Sì. Mi piacciono le sfide.

A livello di combinazioni, ho finito il libro pochi giorni prima di cambiare lavoro, dell’inizio della pandemia e di diventare quarantenne. Sogni/Sintomi - Segni.

Il libro e se stesso; omphalos

Cosa succede nel libro è cosa nota: una giornata, il 16 giugno, diventato peraltro una vera festa, vista principalmente con gli occhi di Leopold Bloom, pubblicitario.

Però. Non è così semplice.

Il libro infatti comincia con tre capitoli su Stephen Dedalus, e si chiude con un chiamiamolo monologo di Molly, moglie di Leopold. E quegli eventi servono a capire e a svelare alcune cose, fatti, opinioni descritte in quelli successivi e precedenti.

E poi, se si scende ancora di un livello, si entra nel caleidoscopio dei singoli eventi di ogni capitolo. Eventi, seri e banali, da cui partono viaggi mentali che prendono forma negli stream of consciousness, altro aspetto noto del romanzo, passaggi simili agli assoli del Jazz, in cui tutto è usato per rendere il concetto: suoni, ritmi, giochi di parole.

E in ogni capitolo c’è uno stile diverso, dalla descrizione secca, al minimalismo, al teatro, al dialogo aristotelico. Arrivato quasi alla fine, al dialogo di Leopold e Stephen nella cucina di casa Bloom, mi si è allargato il cuore. Forze della letteratura.

La famosa edizione con commento di cui parlavo prima basa infatti quest’ultimo sullo schema Linati, una poderosa analisi del testo che cerca di mettere in relazione tutti gli elementi del romanzo, mostrando che there is method in madness.

In quello che sembra un bazaar vi è infatti l’architettura di una cattedrale, e qui non centra Eric Raymond, ma più Ernest Knam, perché il romanzo è una torta multistrato a n piani, dove a ogni strato c’è un rimando, un dettaglio, qualcosa che spedisce da qualche altra parte. Un ipertesto, senza link blu sottolineati.

Il libro e gli altri

Non è un libro che consiglio. O meglio, lo faccio, ma specificando che potreste scoprire che non è per voi. E spero per voi, nel caso, che lo scopriate molto molto presto.

Non lo dico per presunzione, ma non è un libro per tutti. E non dico che quelli a cui non piace siano peggio o meglio di quelli a cui piace. È una cosa diversa.

Volete far finta di averlo letto? Ecco una ampia lista di citazioni, da usare.

A man of genius makes no mistakes. His errors are volitional and are the portals of discovery.3

È la voglia di dedicare tempo a qualcosa di perfettamente inutile. E perciò utilissimo.


  1. Cap.1, Telemachus ↩︎

  2. di cui vi linko la versione più recente, con qualche refuso in meno ↩︎

  3. Cap.9, Scylla and Charybdis ↩︎