dedioste’s

Your daily dose of dedioste. Since 2004

La paga del sabato

Senza versare una lacrima consegnò a sua moglie questo biglietto di addio per la sua piccola Margherita: “Ciao per sempre, Ita mia cara. Ogni mattina della tua vita io ti saluterò, figlia mia adorata. Cresci buona e bella, vivi con la mamma e per la mamma, e talvolta rileggi queste righe del tuo papà, che ti ha amata tanto e sa di continuare ad essere in te e per te. Io ti seguirò, ti proteggerò sempre, bambina mia adorata, e non devi mai pensare che ti abbia lasciata. Tuo papà”»

È Fenoglio, leggetelo. È uno dei migliori (per me, IL migliore) narratore italiano del dopo guerra, stile unico, storie fantastiche. Davvero un danno che sia morto giovane.
Quello che vedete sopra è il biglietto che scrisse alla figlia quando ormai aveva capito che non c’era più niente da fare.
Sta nel testo introduttivo di questa “Tutti i romanzi”, passatami a Natale sott’occhio in offerta e subito “acquistata con 1-click”.
Ma ora passiamo a “La paga del sabato”

Sei la mia donna e non voglio che tu abbia mai paura.

Anche il suo primo romanzo, questo “La paga del sabato” è un work in progress, mai davvero finito ma ripreso, riabbozzato, riscritto più e più volte, come quasi tutti i suoi testi. Ma è comunque un capolavoro.

Si voltò dalla parte di Bianco e Palmo, a quei due sí che aveva fatto effetto ritrovarsi sulle colline, perché si muovevano con scatti infantili, puntavano il dito dappertutto e avevano gli occhi piccoli e lustri e Ettore poteva leggerci il barbaro sentimento che quelli erano stati tempi felici e che il destino sarebbe stato ingiusto se non gliene riservava un altro pezzo prima di morire.
Questo romanzo ti fa venire la voglia di andare in Langa, a conoscere quei posti e quelle persone, vedere se c’è ancora quello spirito, e se c’è, cercarlo per conoscerlo.

Ettore è un archetipo, prima lo odi, poi lo ami, poi soffri. Per lui, per Vanda. D’altronde si chiama Ettore, il richiamo omerico è evidente.

c’è solo una lezione che voglio tenere a mente, e mi odio se penso che l’avevo già imparata bene e poi col tempo me la sono dimenticata. Non finire sottoterra. Per nessun motivo. Non finire sottoterra. Né in galera.

Capire cosa è l’Italia del Secondo Dopoguerra, il dramma di chi tornava dalla montagna, non è facile. Anche se oggi forse i nostri strumenti per capirlo sono di più, grazie ai racconti e agli studi e al sentito dire sui Veterani, su chi torna dalle missioni di pace con la PTSD (la sindrome da stress post traumatico). Sappiamo che svegliarsi di notte di soprassalto è quasi atteso, dopo aver rischiato la vita in una guerra.

Per Fenoglio e per quelli della sua generazione no. Anzi, era un difetto, in un Italia in cui quelli che stavano meglio spesso non avevano fatto altro che cambiare la spilletta dalla cimice allo scudo crociato, così, come un cambio di armadio al volgere della stagione.

Appena sveglio, si era ricordato tutto della domenica, subito, come se tra la sera e stamattina non ci fosse stato piú di un battito di palpebre, e aveva subito pensato a tutte le volte che Vanda aveva dovuto soffrire e piangere per lui, a tutte le volte che avrebbe ancora dovuto soffrire e piangere per lui prima che fosse morto, perché lui sarebbe morto prima di lei, era giusto, e non solo per il motivo dell’età, aveva sperato che ieri non se la fosse presa con se stessa, ma con lui, solo con lui, che si fosse sfogata a odiarlo e a insultarlo. Stasera quando la vedrebbe voleva sentirla dirgli: – Sai, ieri ti ho odiato, ti ho mandato tanti di quegli accidenti… – Sentirglielo dire sarebbe stato per lui come sentirle dire che lo amava sempre, persino di piú. Stasera finiva certamente che ne avrebbero fatto tutt’e due un gran ridere, come già adesso lui ne sentiva voglia.

Ettore no, e quel dramma, quella rottura c’è la ha dentro. E la vuole sanare, e a suo modo, pur facendo un giro strano, il modo lo trova. E ce la fa, perché alla fine Ettore ce l’ha fatta. Ma Ettore è un eroe, ma proprio perché Eroe (nomen omen, come detto) deve finire da “giovane e bello”, vedendo svanire di colpo il futuro suo e degli altri.

Ecco là gli uomini che si chiudevano fra quattro mura per le otto migliori ore del giorno, tutti i giorni, e in queste otto ore nei caffè e negli sferisteri e sui mercati succedevano memorabili incontri d’uomini, donne forestiere scendevano dai treni, d’estate il fiume e d’inverno la collina nevosa. Ecco là i tipi che mai niente vedevano e tutto dovevano farsi raccontare, che dovevano chiedere permesso anche per andare a casa a veder morire loro padre o partorire loro moglie. E alla sera uscivano da quelle quattro mura, con un mucchietto di soldi assicurati per la fine del mese, e un pizzico di cenere di quella che era stata la giornata.

Dovrebbe farne un film Tarantino, è un tipo di storia che gli andrebbe a genio. Ma come in Once Upon a Time in Hollywood, per favore, Quentin, cambia il finale.