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Il rigettario

Avevo già detto nel mio post su “L’abbuffone” della mia passione per Tognazzi, e ora difatti sono qui a parlare del “seguito” di quel libro, un altro dei suoi testi di “vita e cucina”, dove l’autobiografia è la scusa per raccontare le sue ricette.
Questo “Rigettario” (non nel senso del vomito, ma nel senso del rigetto della convenzione) racconta della vita familiare del Tognazzi, della villa di Velletri, della comunità che la abita, degli amici e delle persone che orbitavano intorno a lì. E ogni aneddoto è la scusa per recuperare il relativo menù del pranzo/cena cucinato e fornire le relative ricette.

Tognazzi si conferma cuoco “d’antan”, con abbinamenti e cotture robuste, che oggi sarebbero possibili solo in qualcuna di quelle “Hosterie” senza compromessi, dove il cuoco è barbuto e guarda male chi chiede cose come “si può avere senz’aglio la bagna cauda?”.
Ho letto con grande affetto le parole che dedica al personale che lavorava con lui: ci sono più complimenti alla signora che gli tirava la pasta o ai fattori che gli curavano l’orto che ai figli.

Personaggio? Sicuramente. È evidente che questa ossessione fosse anche parte della maschera pubblica, neanche Trimalcione poteva davvero essere così appassionato al cibo. Però non solo costruzione: quello che dice del cibo mostra competenza, le conoscenze, anche tecniche, ci sono e non sono banali (sopratutto sulla carne), e sopra tutto c’è la cifra di un uomo sopra le righe, che faceva scelte incredibili al cinema (il libro esce per la prima volta nel'78, dopo una serie pirotecnica da un capolavoro all’anno dal ‘72 in poi) e le ripeteva a tavola, sempre rilanciando e andando oltre.

Preso grazie al fantastico servizio di prestito di MLOL.