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Strappare lungo i bordi - Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia

Ne parlo insieme, ha un senso perché questi due lavori di Zerocalcare usciti a fine 2021 hanno molti punti in comune.
Che io sia un fanboy di Zerocalcare è cosa nota, è uno dei pochi artisti di cui leggo tutto, anche le liste della spesa. Penso che partendo da questa recensione di Scheletri si possa tranquillamente leggere tutto quello che ho scritto (se #zerocalcare fosse un tag di questo blog, starebbe tranquillamente nella top 10 dei più usati…).

La serie Netflix è bella, ben costruita, ben realizzata.
Penso che tutti avessero il dubbio che potesse uscirne una boiata, ma invece è un prodotto proprio fatto bene. Riesce a prendere in pieno lo stile dell’autore e a portarlo nel cartoon, molto più a mio avviso di “Rebibbia Quarantine”, che su certe cose era fin troppo grezzo (cosa che i fumetti di ZC non sono mai stati, perché anche sotto una patina di poco curato c’è una ricerca ossessiva sul dettaglio e sulla completezza e credibilità delle ambientazioni e personaggi).
La storia, soprattutto per chi ha seguito tutti i lavori dell’artista romano, tocca tanti elementi noti: il gruppo, la crescita, il cambiamento, le domande e i “se fosse/se avessi”. Anche il finale (che non spoilero) tocca temi noti, narrati con metodi già usati.
Per noi fanboy, è sicuramente un bel modo di vedere un’opera di ZC rappresentata in modo diverso ma sicuramente continuo con il suo stile. Per i nuovi, oltre a essere una bella storia, può essere sicuramente un buon modo per entrare nella tana del coniglio e poi andare a scoprire anche il resto.

Proprio la ricerca del dettaglio e della coerenza esce in pieno: non si possono non apprezzare i particolari, la ricerca sulle musiche, sugli oggetti. E ovviamente le citazioni, vero segno stilistico postmoderno dell’autore romano.
E sì, si parla romano, e chi se ne è lamentato è a mio avviso in malafede: è lo stesso gioco / trucco che è stato usato in altre serie (Romanzo criminale, Gomorra), e qui forse è usato in maniera ancora più leggera rispetto a quei casi. Much ado about nothing.

Il libro è un sentiero che viaggia parallelo e poi si incrocia: aggiorna su storie “del mondo” di Zerocalcare, la Siria / i curdi, ciò che succede a Rebibbia in epoca di pandemia e poi ha un lungo inedito finale proprio su “come ha fatto Zerocalcare a fare una serie”.
È un po’ un companion, un diario degli ultimi 18 mesi, che raccoglie cose già uscite e che le mette in sequenza e respiro giusto. Non è sicuramente il suo testo migliore, è un collage di più testi diversi, ma è una piacevole lettura, che riesce ancora a far scoprire qualcosa su un personaggio noto da più di 10 anni.

Alcuni commenti hanno osservato una certa lamentosità dell’autore, soprattutto nella storia finale su “come ho fatto il cartoon”. Sembra che ZeroCalcare “se la meni”, per la fatica di essere famosi, per la fatica di fare l’autore. Ed è stato esteso anche a modo di fare generazionale, il lagnarsi come elemento caratterizzante.
A mio avviso non si coglie, e non sarebbe la prima volta, la differenza tra autore e personaggio: il personaggio ZC è un lagnone, perché quell’essere lagnone serve alla costruzione della storia e al suo dipanarsi, serve a sostenere il personaggio dell’Armadillo, serve ai momenti “te lo avevo detto”. L’autore Zerocalcare penso sia un esempio del “talk the talk and walk the walk”, visto che il suo impegno è sotto gli occhi di tutti.
Sul lagnarsi come elemento generazionale, soprattutto quando viene da boomer, soprassiedo per eleganza.

Sicuramente vedetevi la serie, e se vi è piaciuta, partite con Kobane Calling.
Per l’ultimo libro avrete comunque tempo.