dedioste’s

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In diretta

Non l’ho visto a Discoring e a Sanremo, non ho ricordi di Sandy Marton, via Verdi e altri.

Ho iniziato ad ascoltare Deejay al mattino, più o meno nel ’91, prima di andare a scuola perché c’era Baldini con gli sketch della Gialappa’s, di Aldo Giovanni e Giacomo e dei Fichi d’India (da lì, una fascinazione personale per il Cappuccino Nestlè, allora sponsor del programma). Quasi mi davano fastidio le canzoni trasmesse, sia per stile che per frequenza, tanto è vero che ho iniziato ad ascoltarla al pomeriggio solo più tardi (e mischiandola molto ad altre radio dove si parlava di più).

Però mi ricordo Jovanotti (da Lorenzo ’92 in poi), gli 883, Fiorello. Tutto rigorosamente in casetta BASF registrata da qualcun’altro (Lorenzo ’94 ce l’avevo originale, ma la cassetta non è sopravvissuta alla caduta da un balcone). E anche oggi, sebbene sia cresciuta, Deejay è ancora l’unica radio musicale che riesco ad ascoltare.

Cecchetto quindi è stato anche per me il deus ex machina di un bel pezzo di adolescenza, quindi appena ho sentito del libro, ho detto : “mio!”. E nelle vacanze di Natale me lo sono consumato in un paio di giorni.

La lettura scorre via liscissima, 400 pagine leggere, è sia moderatamente appassionante sia soprattutto un viaggio nella memoria incredibile e non oso immaginare cosa possa essere per chi, con dieci anni più di me, si ricorda anche la fase degli anni ’80.

Siamo chiari: come in tutte le autobiografie, c’è una buona quota di autoincensamento e autoassoluzione; il tono è frenetico, iperpositivo, ma è probabilmente parte di Cecchetto stesso.

C’è anche qualche passaggio pedagogico, con qualche slogan (“Il talento è un dono, il successo è un mestiere” usato anche come sottotitolo), che però coincide con lo stile del testo e non risulta eccessivamente pesante.

Una lettura semplice e leggera ma piacevole.