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Brand, or (supposed) lack of

Alla fine ci siamo arrivati. Già Lost, con i suoi prodotti a marchio “Dharma Initiative” l’aveva in qualche modo rappresentato. Ma la catena di supermercati sudafricani Pick’n’Pay l’ha tradotto in realtà.

Sto parlando, come potete vedere qui a sinistra, dell’etichettatura: nome del prodotto, marchio (in piccolo), mini foto di prodotto (in bianco e nero) informazioni di legge. La razionalizzazione estrema, un taglio della tela alla Fontana in risposta a tanti pack rococò, che ancora oggi esplodono di colori, di scritte, di claim, di foto prodotto talmente irrealistiche da dover portare il disclaimer “L’immagine rappresenta solo un suggerimento di servizio”.

E’ un bel salto, molta della comunicazione del food, soprattutto per quei prodotti che non godono di pubblicità in tv, oggi passa ancora e quasi esclusivamente dal pack, che deve attrarre le massaie, informare il curioso e guidare i consumatori (e convincere i vigili dell’annonaria che è tutto a posto).

Gli esempi, presso questa catena, sono tantissimi e coprono tutto l’arco merceologico, arrivando al non food come i detersivi e i saponi. L’effetto all’inizio è indubbiamente straniante. Però, poi, pensandoci bene ci si accorge che in realtà quello che si perde in impatto sensoriale lo si guadagna in riconoscibilità: l’informazione che mi serve davvero per tirare fuori il prodotto dalla dispensa è scritta in grosso, nero su bianco. Io tuttora faccio fatica a distinguere sotto la doccia lo shampoo dal docciaschiuma: stessa forma, stesso colore, unica differenza una scrittina in corpo 10.

Non è un caso, tra l’altro, che una scelta del genere l’abbia fatta per prima una caterna di supermercati per i propri prodotti a marca privata: il brand di richiamo, quello che serve a rassicurare della qualità, è scritto bello grosso al neon sopra l’edificio. Che bisogno c’è di ripeterlo anche sui prodotti?